Il Bianco del pittore spettinato
- Gianni Spartà
- 14/12/2025
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Pedretti a Villa Borghi di Biandronno
Il lago è diventato bianco, i canneti che lo circondano pure. E’ bianca, contornata di segni neri, anche una casa sulla riva che nella realtà non esiste, non è mai esistita. Si è materializzata, all’insaputa di Antonio Pedretti, il pittore che essendo di Gavirate, ha vissuto a pane e lago da quando si è messo a dipingere, tanti anni fa, come rapito da una forza inspiegabile anche per lui. Colpiscono i modi, inediti agli occhi degli interessati al fenomeno, in primis Vittorio Sgarbi. Più che trattare la tela, Pedretti la maltratta. Prende la rincorsa, pochi passi decisi, si avvicina e guidato da impulsi incontrollati impasta una palla di colore scaraventata sulla scena vergine. Dapprima la materia è informe, che cosa ne potrà derivare nessuno lo sa. Poi la spatola, il ferro del mestiere, comincia a tormentare la materia, a stenderla, a spalmarla, a ridurla ancora, infine a disegnarla. E il risultato sono quadri che stanno facendo il giro delle migliori gallerie, da Genova a Roma, annunciando l’imprevedibile svolta dell’artista. Il lago è sempre stato verdastro, anche per via della mutazione genetiche gli ha procurato l’inquinamento in anni spensierati e terribili. I fili della vegetazione erano gialli. Adesso c’è tutto questo bianco indistinto che fa pensare all’improvvisa allucinazione di un pittore spettinato. O a una purificazione, chissà. Perché spettinato? Per via del personaggio con la cravatta allargata mai al centro del colletto della camicia. Per quella faccia un po’ così. Perché nessuno riesce a collegare i fili intimi di un essere normale, simpatico, alla mano, felice di come gli è andata la vita, triste quando pensa a una persona cara che sta combattendo con la malattia. E perché, infine, nessuno indovinerà mai come si comportano le cellule di un creativo: evidentemente impassiscono, di tanto in tanto, con esiti inimmaginabili. Pedretti, origine del cognome. Potrebbe costituire una modificazione del dialettale Peder (Pietro) o del medioevale italiano, o anche spagnolo, Pedro. E’ tipico di Lombardia ed Emilia. Ci sono 2051 famiglie che si chiamano così in Italia. Quella dalla quale scaturisce lo spettinato visionario è sicuramente delle nostre zone. Ma torniamo a quel bianco inquietante, un po’ ospedaliero, sicuramente metafisico, uscito- ci va di pensare- da cinquant’anni di osservazione quotidiana di un paesaggio amato. Non ci vengono in mente paragoni, ma confessiamo di essere semplici spettatori. Si guarda o si vede: c’è una sostanziale differenza. E’ chiaro, ha spiegato Pedretti a un esperto, che il rapporto con la tela sia un conflitto. Io ti sfido, voglio che tu parli e per ottenerlo ti dichiaro guerra fino a quando uno dei due si arrenderà. Finora si è arresa la tela sulla quale sono sempre comparse manifestazioni mirabili come fossero le note a margine con cui gli scrittori moderni martorizzano le opere di grandi della letteratura, nel bianco delle pagine di vecchi libri, e ne ricavano interpretazioni originali, a volte surreali. Pedretti è diventato un caso da vivisezionare. Magari nel corso di un incontro in una galleria d’arte dominato dalle erudite peregrinazioni psicologiche di intervistatori avvezzi a strizzare cervelli e dalle fanciullesche risposte dell’interrogato: lei dice così, ma io non le so spiegare il perché. Sarà che l’aria di lago, alle nostre latitudini, ha partorito premi Nobel come Dario Fo, comici come Renato Pozzetto, e pittori inconsapevoli di essere abitati dal mistero.