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Lady Ignis ne fa 90

  • Gianni Spartà
  • 22/11/2020
  • 0

Caterina Ossola

Gli ordini li dava lui, il principale con la voce roca, le mani da gladiatore, le metafore in dialetto milanese. A farli rispettare pensava lei, con la capacità tutta femminile di spianare i dossi, il portamento elegante, l’eloquio della diplomata alle scuole professionali che negli anni ’40 non formavano impiegate, ma leonesse da tastiera.  Poi il carattere, dolce alla bisogna, forte se c’era da non darla vinta a qualche rompiscatole. 
Ritratto di Caterina Ossola, leggendaria segretaria di Giovanni Borghi. Compie 90 anni e li festeggia dodici giorni dopo la data di nascita: cioè mercoledì prossimo, il 25 novembre. Il motivo  chiedetelo a lei. Vi risponderà, a proposito di carattere, che tra un anonimo 13 novembre e la festa di Santa Caterina d’Alessandria, venerata sia dalla chiesa cattolica sia da quella ortodossa, vergine e martire, la ragazza di Comerio preferisce  lo slittamento facendo coincidere onomastico e compleanno. Da sempre.  
Auguri, cara Lady Ignis. Eh sì perché se il cumenda quel marchio immortale l’ha lanciato in orbita, associandolo “alla più felice stagione dell’imprenditoria italiana” (parole di Giovanni Agnelli), lei lo ha tenuto lustro per trent’anni facendone un tabernacolo. 
La storia comincia quando i Borghi, in fuga dai bombardamenti su Milano nel 1943, si trasferirono, proprio a novembre, nella casa di campagna di Comerio ricavandovi una specie di deposito per arnesi e lamiere. Erano in quattro: papà Guido, i figli Giovanni, Gaetano e Giuseppe. 
Caterina seppe dal parroco del paese che “i milanesi” si erano messi al lavoro avendo in testa qualcosa di grande e cercavano personale. Si presentò in quell’inferno di martelli e piegatrici con un tailleur attillato in vita. Era bionda e bella, aveva sedici anni. Fu assunta come impiegata e da lì partì per lei, e per migliaia di famiglie non solo italiane, un’avventura ineguagliabile all’ombra del signor Ignis.
C’era Caterina quando Borghi festeggiò il primo milione di frigoriferi e quell’esemplare storico venne rivestito d’oro; c’era negli anni ruggenti delle visite di Stato agli stabilimenti  Cassinetta, Napoli, Siena, Trento, della Sei Giorni a Milano, dei trionfi nel basket, del Varese calcio in serie A; c’era quando il suo principale, abbattuto e malato, si dovette rassegnare a non essere più l’unico sovrano dell’impero che aveva costruito con le sue mani. E c’era, subito dopo la fine della guerra, quando un certo Fioravante Villa, forse anche lui dell’Isola, disse ai Borghi che, rimessa su la bottega, lanciati i fornelli in qualche caso targati Gi.Bi, bisognava che si procurassero un marchio di fabbrica vero, un distintivo serio. “Conosco uno a Milano che vende ferri da stiro e li chiama Ignis”, indicò la strada Villa. Se non è leggenda, due giorni dopo “il fuoco” era a casa Borghi, in proprietà esclusiva, pronto a punzonare come a un Giro d’Italia tutti i pezzi in uscita dalla baracca di Comerio e destinati, per la distribuzione, ai primi rappresentanti, quasi tutti parenti. 
Ma oggi dobbiamo celebrare Lady Ignis, la sua vita dedicata alla causa di un’azienda simbolo del miracolo italiano, i mille aneddoti di cui lei è testimone privilegiata e gelosa custode. La   vita straordinaria del cumenda ha contemplato distrazioni di ogni genere ma anche episodi di rara umanità. Se Caterina segnalava al capo un lutto patito da uno suoi operai, sapeva che doveva fare due cose: prenotare una corona di fiori e informarsi del giorno e dell’ora dei funerali. Giovanni doveva esserci e magari, abbracciando la vedova, chiedeva se avesse figli da sistemare: alla Ignis c’era posto. Ce n’è stato fino a quando il re dei frigoriferi si è dovuto piegare a cedere la corona. Salvando migliaia di lavoratori.      

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