Furia furioso
- Gianni Spartà
- 05/07/2025
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La sua strada a pezzi
Ci sono strade e strade: le buche sono tutte uguali, antipatiche, moleste, pericolose. Quella che sale dalla pensione Irma nell’ultimo tratto per la vetta del Campo dei Fiori, dove sorge l’osservatorio astronomico, è ridotta a una forma di gruviera. Porta i segni inevitabili di cingolati e ruspe che hanno lavorato nei mesi scorsi per eliminare l’adiacente abetaia distrutta da una tempesta di vento e ripiantumare il terreno spoglio; a me ricorda le grandi fatiche per costruirla degli “schiaparellini” nella prima metà degli anni ’70. Erano ragazzi di Salvatore Furia, comandante-operaio, loro maestro di scienza e di vita. Il piacere di far saltare spuntoni di roccia se lo riservò lui con Rosi Ossola, maneggiando dinamite e rischiato l’arresto per utilizzo abusivo di materiale esplodente, soprattutto a quei tempi. I due se la cavarono minimizzando durante un controllo dei carabinieri: "Che vuole maresciallo? Sì, abbiamo fatto scoppiare due minette". Per la precisione trentasei. Ora, per amore del Prof e per la sicurezza pubblica, mi permetto di rivolgere una richiesta a Davide Galimberti, padrone della strada, e responsabile della sicurezza di chi la percorre, magari di notte, per lo più a piedi, in bicicletta o su veicoli autorizzati: sindaco, tra un mese e mezzo saranno passati tredici anni dalla scomparsa di Furia che si rivolterà nella tomb, sarà furioso. Mandi una squadra di rattoppatori, per ora dovrebbe essere sufficiente. Grazie. Quella strada è stata l’incubo del Prof: l’osservatorio era in piedi, arrivarci faceva paura anche a lui. Scriveva: “La strada, questa strada impossibile, difficile, sudata, questa strada a greto di torrente, mai sazia di pietrisco, di sassi, di terra; questa strada che per sei mesi all’anno non era percorribile da alcun mezzo, se non a prezzo di terribili fatiche per lo sgombero della neve e che per gli altri sei era percorsa solo dai noi, un gruppo di pazzi”: Furia ha raccontato più volte i rischi affrontati per dare un accesso decente e sicuro alla cupola di osservazione agognata e progettata da uno che vedeva oltre il muro. I lavori cominciarono il 6 settembre del 1969 e durarono mesi. La strada fu costruita, alla fine, senza sottrarre tempo alla didattica: lezioni di astronomia, botanica, meteorologia, accoglienza degli ospiti che cominciavano ad affollare le stanze e le balconate dell’osservatorio, istruzioni per l’uso del telescopio al centro della specola. Poi c’erano gli straordinari: bisognava rimuovere i sassi che ogni esplosione disseminava, come tappi di lambrusco novello, lungo il percorso. E qui entrano in gioco muscoli e carriole, sudore e sfinimento. Lo strato finale di pietrisco, sulla strada e nelle piazzuole laterali veniva rullato a mano, poi la copertura col manto d’asfalto. Vedere maneggiare bitume a un astrofisico, Luca Molinari, e a un bocconiano, Vanni Belli, parve il miracolo della forza di volontà e della fiducia in quel maestro indimenticabile. Prima della nascita dell’osservatorio, la cima della montagna era un immenso pascolo di mucche e capre. Per questo la chiamavano “latteria”. Provvidero ad animarla quei ragazzi, non ancora consapevoli di diventare protagonisti di un’avventura irripetibile.