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In mano a Putin

  • Gianni Spartà
  • 30/03/2024
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Noi euroretrocessi

L’Europa è stata tante cose da dopoguerra in avanti: un movimento ideale, un progetto economico, la moneta unica, la stessa bandiera sui palazzi del potere in un numero crescente di nazioni, un parlamento con 700 deputati. Che cosa le manca? Il profilo politico di una federazione con a capo un governo guidato da un premier. Un esercito autonomo capace di difenderla. Una ragione sociale certa, autorevole, riconosciuta, temibile. Non siamo mai diventati Stati Uniti d’Europa e spiegarne il perché a quattrocento milioni di cittadini pare l’unico impegno che leader veri si dovrebbero assumere, se ne sono capaci, per convincere gli elettori a correre alle urne il prossimo nove giugno. Cioè a rompere la pericolosa tendenza alla diserzione elettorale registrata su terreni più stretti: parlamenti nazionali, regioni, città. Ebbene, mai come questa volta il fenomeno ci deve preoccupare. Abbiamo di nuovo le guerre alle porte; il Medio Oriente è tornato a essere fabbrica di crimini contro l’umanità; quest’anno si voterà in 76 Paesi del mondo - Stati Uniti, India, Africa, Sudamerica - e su questo campo largo, detto senza offesa, l’Europa affronta la partita con addosso gli stracci. Dovrebbe vestire una divisa degna della potenza sognata dai padri fondatori a Ventotene prima di accontentarsi, a quei tempi, dei trattati firmati a Roma. La circostanza rivelò come tra gli stati membri d’allora l’Italia fosse una nazione d’avanguardia. In fondo l’Impero romano d’Occidente, per dominio e confini, fu la prima lezione di  geopolitica. Oggi, con meno pretese, si vorrebbe che avesse senso pratico l’unione tra stati la cui sicurezza è a rischio come non era mai accaduto dopo la fine delle seconda guerra mondiale. Lo dicono gli analisti segnalando per l’Europa il pericolo di una retrocessione strategica. I messaggi che arrivano non solo dal grande fratello americano, ma da quei laboratori in fermento che sono l’Asia e l’Africa, dicono che l’aria sta cambiando, forse è già cambiata. Si parla sempre di blocchi con alleanze aggiornate. Si riserva attenzione ai nuovi potentissimi autocrati, gli imperatori digitali come Mark Zuckerberg ed Elon Mask. In tutto questo finimondo l’Europa deve avere gambe per camminare da sola, non in ordine sparso, e non secondo logiche che Joseph Ratzinger, non ancora Papa, bollò di irrilevanza in un celebre intervento a Cernobbio l’8 settembre 2001. Tre giorni dopo Bin Laden avrebbe messo sotto attacco, con l’America, la civiltà occidentale intera. Non sospettabile di sovranismo, successore di un pontefice che c’era, da protagonista, alla caduta del Muro di Berlino, cioè all’inizio di una concreta integrazione europea, Benedetto XVI pronunciò parole profetiche. Eccole in sintesi: l’Europa di carta corre il rischio di essere perdente sui mercati e nelle chiese; l’Europa non governata è costretta svendere la sua storia; l’Europa non si costruisce con la protervia di uomini di parte ma facendo valere un primato di civiltà; se non riconosce l’uomo come scopo finale, se indulge a inedite oppressioni, se si separa da ogni tradizione etica, l’Europa sarà sempre figlia di un dio minore. Evidente l’amarezza di Ratzinger per lo smarrimento, già allora, delle radici cristiane. Ventitré anni dopo possiamo fare l’elenco delle tante occasioni in cui la nostra civiltà ha fatto un passo indietro per non urtare sensibilità culturali e religiose di altri. Se è un dogma la parità di culto e di tradizione, lo sia anche quella dei diritti civili. Ma si parla poco di questo, poco dell’unico impegno che potrebbe rendere interessanti le elezioni europee: cari italiani, francesi, tedeschi, spagnoli nei prossimi cinque anni di legislatura costruiremo gli Stati Uniti d’Europa, magari non tutti in una volta. Cominceremo con i sei stati fondatori vista l’emergenza di alcune decisioni, poi completeremo entro il 2030. Il fatto è che nemmeno Macron, il più mediatico dei leader nazionali, forse anche il più spregiudicato, dirà mai queste cose. L’unico che potrebbe dirle e farle, a modo suo, è Putin.

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