Varese, carissimi nonni
- Gianni Spartà
- 15/07/2020
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Tram treno
Chi non c’era quando i treni in arrivo da Milano morivano a Varese, salvo qualche proseguimento fino a Porto Ceresio, non fa caso ai nomi delle città che scorrono oggi sul video delle partenze nella rediviva stazione di piazzale Trieste: Como, Mendrisio-Lugano-Zurigo, Malpensa aeroporto. E’ come se un bel giorno il capoluogo di questo territorio avesse sfondato una immaginaria linea Maginot, aprendosi a Nord verso il cuore dell’Europa, a Sud in direzione di un hub intercontinentale e di un polo fieristico attorno al quale, dopo l’Expo del 2015, si sono insediati e s’insedieranno grandi industrie e centri di ricerca. Merito di sei chilometri di binari, a cavallo del confine con la Svizzera, pensati vent’anni fa, realizzati con grave, indecoroso ritardo, secondo usi e costumi di casa Italia. Il cul de sac s’è sbriciolato, non siamo più la fine del mondo. Alleluja. Ci eravamo lasciati alle spalle tutto: la fierezza di essere stati tra i primi, a fine Ottocento, a capire l’importanza di collegamenti stabili con Milano; l’utilità di quelle vetturette bianche che scivolavano lungo la Valganna e la Valcuvia; anche l’orgoglio d’aver inaugurato nel 1924 l’autostrada dei Laghi, la prima nel vecchio continente. Ridotta a garage ferroviario, insensibile all’esigenza di tenere in ordine i pubblici servizi, la provincia pensava a mettere a frutto l’intrapresa privata nell’industria e nel commercio. Col senno di poi, un grande abbaglio. Ne pagarono il fio anche le funicolari che scarrozzavano e turisti verso la cima del Campo dei Fiori. Quando turisti ce n’erano molti e proprio in questi giorni la Camera di Commercio, all’insegna del rimpianto, lancia una poderosa campagna pubblicitaria che ripropone di fare “un salto a Varese”. Passata la buriana del Covid speriamo che il salto si materializzi in lungo, in largo e soprattutto in alto. Ma intanto l’età del ferro pare rivivere una seconda giovinezza con l’idea del tram-treno che sgorga dalla società civile (Università dell’Insubria, Rotary del territorio, fondazioni private) e per questo merita qualche riflessione. Si vuole trasformare in una sorta di metropolitana la tratta di Trenord Varese-Laveno, con fermate in ogni paese rivierasco, corse continuate, carrozze riservate ai ciclisti. Si osa pensare a una funivia che dalla località Bellavista, il migliore punto d’osservazione del massiccio del Rosa sormontante il lago, s’innalzi fino a Bizzozero. Viene in mente “La città che sale”, il primo quadro futurista di Umberto Boccioni. Visionari? Anche. Ma affiancati da personaggi che manovrano importanti leve finanziarie, quanto meno promettono di poterlo fare. E siccome il sindaco Davide Galimberti si sta giocando il jolly di un piano-stazioni da 18 milioni di euro per abbellire una zona strategica, praticamente il biglietto da visita di Varese, bene, il tram-treno cade come il cacio sui maccheroni. L’ultima volta che la parola tram, aggiunta a un’altra (bus) fece capolino sulla scena locale si registrò un brutto fiasco. Si stortarono strade rettilinee blindandole di cordoli per ricavarvi corsie riservate a un serpentone elettrico che avrebbe dovuto vagare da un rione all’altro della città. Perdita secca di sette miliardi in vecchie lire. Com’era nato, il progetto, spirò. In un’altra epoca, tecnologicamente avanzata, si può dimenticare il bùs (buco, in dialetto bosino) e guardare avanti. Viviamo il tempo delle mobilità sostenibile, cioè priva di danno ambientale, Varese deve risolvere il problema di piazza Repubblica, dell’eterna ex caserma che vi si affaccia attendendo nuovo impiego, di un teatro di pietra che la città possedeva e demolì sciaguratamente negli anni ’50 e l’ipotesi di ospitarlo nel vecchio Politeama di piazza XX Settembre è come il sole quando in cielo ci sono nuvole: appare e scompare. Resi pubblici i disegni di come potrebbe essere trasformato in palcoscenico l’antico cinema di proprietà della Fondazione Molina, di trattativa vera e propria non s’ode eco. Il tram-treno è un’idea evolutiva, forse un nuovo ideale, e come tale va considerata. E’ una carta calata sul tavolo verde quando c’è bisogno di uscire dal lockdown dell’entusiasmo fiaccato da un virus, della voglia di fare frenata dall’incertezza su quanti ci aspetta. Il Paese ha bisogno di sentirsi, un territorio come il nostro di riscoprire il vigore creativo dei tempi migliori. In ogni caso, pensando di nuovo a binari, stazioni e traversine, è come se Varese fosse consapevole di avere il suo futuro nella soffitta dei carissimi nonni. Dove si trovano le cose belle del passato.