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Razza Padrona 2025

  • Gianni Spartà
  • 27/07/2025
  • 0

Grattacieli e corruzione

Non c’è più  la corruzione di una volta. Forse non c’è più la corruzione  propriamente detta: roba antica, superata, geneticamente modificata, invisibile a furia di vederla. La leggenda della mazzetta ancora incartata che un funzionario scaraventò nel water all’arrivo della guardia di finanza nella Milano da bere, oltre tutto prendendosi del mariuolo, si tramanderà per altre due generazioni. Del pasticcio dei grattacieli esagerati, insulto periodico a Sua Altezza la Madonnina, si parla da una decina di giorni senza aver capito ancora chi ha preso, chi ha dato, se lo ha fatto per dolo o per colpa o non l’ha fatto proprio. Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani raccontarono  la Razza Padrona degli anni ’60 e ’70 in un libro straquerelato e dunque scomodo. Gaber in una ballata la immaginava “avvolta in lucidi mantelli, guanti  di pelle sciarpa nera, le facce mascherate, le scarpe a punta lucidate, sono nascosti nella sera”.  No, la razza padrona del 2025 è tutta un’altra storia. Non c’entra l’irresistibile ascesa di boiardi di Stato, sbagliato pensare al modello Cefis. Oggi c’è un campo nuovo che prescinde dai pubblici uffici, dagli amministratori delle città, dai suoi grand commis e che raggiunge i propri scopi guidata da misteriosi filoni speculativi. I quali stanno sospesi nell’aria e nel web, sbaragliano la concorrenza,  vanno dove li porta il profitto, si capisce, e trasportano masse di denaro spuntate all’improvviso, non importa da dove, e proprio per questo inquietanti. Quando qualcuno, quasi mai a caso, si mette a guardarli in controluce il codice penale non basta a indovinarne intrecci e movimenti, ci vuole la lampada di Aladino.  E qui sta il rischio, ma anche la difficoltà, di processare reati calandosi nelle profondità di sistemi economici messi a punto da maghi della combinazione virtuosa tra lecito e illecito, tra bene e male. Come vedete la politica è disorientata e spara le solite frasi. Sala si dimetta. Poi pensa che questo dovrebbe valere anche per la Santanchè e allora cambia giro. No, Sala resti al suo posto anche se lascia l’assessore che si chiama Tancredi e rischia grosso un re del mattone che ha per nome Manfredi. Suggestive queste identità di principi, feudatari, cavalieri d’altre epoche. Il sindaco invece si chiama Giuseppe, santo protettore dei falegnami,  ed è paradossale che essendo di sinistra (quale?)  si ritrovi nella bolgia del turbo capitalismo. Però  se l’è cavata bene organizzando la nuova Fiera e gestendo l’Expo 2015 ed ecco il pronto soccorso di due avversari politici, il governatore lombardo Attilio Fontana e l’ex sindaco Gabriele Albertini, che tuttavia non lo invidiano affatto. La partita giudiziaria è dura, quella amministrativa molto di più. Scoppiato il putiferio, a Sala tocca il difficile compito di riequilibrare la rigenerazione di una metropoli dove a furia di piantare alberi di trenta piani, non per farli abitare, ma per mostrarli al mondo, i due lati del triangolo si sono allontanati troppo dalla base. Milano in verticale ha perso l’orizzontale. Cioè quell’orizzonte che non può coincidere solo con gli appetiti degli investitori da ventiduemila euro al metro quadro per una suite in cima a una torre. Ci figuriamo sultani, mandarini cinesi, oligarchi russi, paperoni americani attorno al mega-business del grattacieli milanesi. Ma lì dentro ci sono anche soldi italiani imbucati nei fondi private equity, frutto della trasmigrazione della ricchezza dal reddito alla rendita. La guardia di finanza ha le antenne puntate sulle metastasi  del riciclaggio e non da ora. Come finirà e quando l’inchiesta giudiziaria, quali segni lascerà sulla storia di Milano che dal dopoguerra in poi ha dato moltissimo al Paese, accoglienza, pane, benessere, ricerca, cultura, sport, orgoglio di appartenenza anche ai non nativi? A proposito di sport. E’ alle viste un’olimpiade che Milano ce l’ha nel nome. Per quel che conta, sperabile sarebbe non presentarsi al mondo con la faccia sporca.

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Beppe Sala

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