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Il killer di Tobagi a Varese

  • Gianni Spartà
  • 28/05/2020
  • 0

Anteprima di un omicidio

Varese e gli anni di piombo: quante storie dimenticate e quanti contagi trasmessi a una provincia sazia e sonnacchiosa dai focolai di Milano dove il virus infettava università, centri sociali, grosse fabbriche. Da noi non si sparse sangue, ma un interminabile elenco di attentati, rapine proletarie, rivendicazioni, lanci di molotov segnala che i predicatori di odio avevano fatto centro a queste latitudini, trasformando in guerriglieri frotte di ventenni. Saltarono auto di poliziotti e dirigenti industriali, furono malmenati un preside e un medico delle carceri, a Tradate finì nel mirino di guastatori dinamitardi un’armeria, a Venegono Inferiore venne dato alle fiamme un magazzino della Bassani “per colpire il prodotto finito”. Pagò pegno anche questo giornale: tre colpi di fucile a pallettoni contro la porta d’ingresso a Varese in viale Tamagno il 29 dicembre del 1978. Per puro caso nessuno di noi era nella traiettoria. Perché spararono alla Prealpina? Perché andava così. Violenza anche senza motivo.  C’è, invece, un motivo se rispolveriamo oggi queste memorie. Quarant’anni fa ammazzavano a Milano il giornalista Walter Tobagi, 33 anni, colpevole di voler capire e di saper raccontare. Nei suoi articoli indagava il perché di un paradosso: la frenesia terroristica travolse la meglio gioventù borghese, più che i figli della classe operaia. Ragazzi con le spalle coperte da famiglie ricche e cattoliche finirono nel tritacarne ideologico di sigle insurrezionali come Prima Linea, Formazioni combattenti comuniste, Ronde armate comuniste, strette parenti delle BR. Ed ecco uno dei tanti collegamenti tra Varese e Milano: Tobagi moriva il 28 maggio 1980 e Marco Barbone, il suo assassino, due mesi prima era stato nel tribunale di piazza Cacciatori delle Alpi a fornire un alibi alla fidanzata d’allora, Caterina Monica Rosenzweig. Che tanto scafata non doveva essere in fatto di guerriglia, se davanti a deposito della Bassani attaccato col fuoco venne subito trovato il suo passaporto. Figlia della preside della scuola ebraica di Milano e di un ricco imprenditore italo-brasiliano, l’incendiaria smemorata fu processata e condannata. Ma la comparsata tribunalizia di Barbone, più preoccupato di non scoprire se stesso che di coprire la compagna quel giorno di marzo del 1980, fece luce sui solidi collegamenti del terrorismo rosso milanese in questa fetta di Nord Ovest. Incrociati con le rivelazioni di un altro pentito locale, gli episodi narrati dal killer di Tobagi, reo confesso, fornirono al pubblico ministero Armando Spataro la chiave di lettura della lotta armata in Lombardia. Questi i meccanismi: dalla metropoli giungevano alla provincia richieste di collaborazione per finanziare le formazioni con rapine e assalti. Dalla provincia rimbalzavano nella metropoli le convinte adesioni di molti giovani che facevano il “salto del bancone”: non più fiancheggiatori ma combattenti, non più Collettivi parolai, ma azioni di guerra. Il processone che ne derivò si chiamò Rosso-Tobagi, dal nome della rivista che propagandava l’insurrezione e di quello del giornalista trucidato su un marciapiede a pochi passi dal Corriere della Sera dove si stava recando a piedi, senza scorta, in una giornata di pioggia. Non poteva sapere che i suoi assassini lo vedevano passare tutti i giorni dall’attico di un edificio affacciato su via Solferino. L’alloggio era della Rosenzweig e lo frequentava il killer dagli occhi freddi venuto a Varese a raccontare bugie con già in testa il suo progetto di morte. La tesi dell’imputata? “E’ tutta una montatura, qualcuno mi ha voluto incastrare portando a Venegono il mio passaporto”. E’ acqua passata: c’è il diritto all’oblio, non per la fine di Tobagi al quale i suoi colleghi hanno dedicato un libro “Poter capire, voler spiegare” curato da Giangiacomo Schiavi. Lui, Walter, aveva capito e non aveva finito di spiegare. Ma il titolo di un suo articolo “Non sono invincibili samurai”, coraggiosa profezia sulla sconfitta dei brigatisti, resta una bussola preziosa per orientarsi tra gli odiatori di oggi. Disarmanti e anche disarmati. Finora.            

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