Addio a Tomassini
- Gianni Spartà
- 14/10/2025
- 0
Dalla Dc a Forza Italia
Il suo sindaco è stato Giuseppe Gibilisco nei cinque anni in cui fu consigliere comunale per la Democrazia Cristiana a Varese; il suo premier è stato Silvio Berlusconi quando cadde la Prima Repubblica e lui fu uno dei superstiti considerato buono anche per incarnare la Seconda. Volendola sintetizzare in poche parole è questa la scheda politica di Antonio Tomassini, senatore di Forza Italia, presidente della Commissione Sanità per lunghi periodi, ascoltato consulente di ministri e parlamentari tutte le volte che per affrontare una questione non bastava conoscerla nel presente, bisognava interpretarla utilizzando le chiavi del passato. Dire, dunque, che se ne va con Tomassini un testimone della recente storia repubblicana è più che plausibile. Certamente non scompare una meteora, ma un astro che ha brillato per quattro legislature, sempre a Palazzo Madama, e un personaggio che deve la sua carriera anche al fatto di essere stato medico. La raccontano così: nei primi anni ’90 la villa di Arcore comincia ad animarsi di figure che non l’avevano mai frequentata prima. Vanno a incontrare il Cavaliere Dimezzato, cioè diviso tra gli amici veri che gli sconsigliano di “scendere in campo” e altri, interessati e ruffiani, che ce lo vogliono spingere. A una di queste riunioni partecipa Tomassini come persona informata dei fatti democristiani ed ancora estraneo alle vicende della futura Forza Italia. Senonché il padrone di casa accusa un malore, forse un semplice mancamento. Un medico, ci vuole un medico. Tomassini si fa avanti: è un ginecologo, ma basta e avanza per controllare il polso a Berlusconi, soccorrerlo, tranquillizzarlo. Il paziente non dimentica e quando si guarda in giro nel 1997, dovendo scegliere candidati per la tredicesima legislatura, si ricorda di quel medico di Varese. Lo coopta nella squadra e gli tira la volata facendolo diventare senatore. Non solo: gli affida la Sanità, un terreno minato, sul quale il prescelto ha sempre navigato facendo tesoro dell’abilità di dialogo tutta democristiana e della propensione alla cortesia tipica dei marchigiani. Ha avuto inciampi, anche giudiziari, Sem Tom, come lo chiamavano nel gergo parlamentare, li ha avuti nella sua città d’elezione, Varese, dove conobbe la moglie Marta, medico anestesista all’ospedale di Circolo, e dove sono nati i suoi due figli, ma la sua persona ha conservato considerazione figlia o madre dell’autorevolezza. Il suo ufficio di rappresentante dei senatori di Forza Italia in piazza della Capranica a Roma è stato fino alla fine un punto di riferimento anche per chi non era del suo partito. A Palazzo Estense Tomassini entrò in un momento significativo della storia politica di Varese. Era il 1980, nella Dc si faceva largo la corrente cattolica di Comunione e Liberazione, meglio del suo braccio politico, il Movimento Popolare. Giuseppe Gibilisco, allora giovane avvocato, succedeva a un sindaco importante, Mario Ossola, tisiologo, ex partigiano bianco, uomo assai stimato. L’impegno di consigliere comunale durò cinque anni, al termine dei quali Tomassini tornò a tempo pieno a fare il medico nel reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Del Ponte come aiuto, poi a Tradate da primario. Ho di lui un ricordo personale, ambientato a Roma, in Senato, ma legato a corda doppia a Varese. Nella sala intitolata ai caduti di Nassiriya la presidente Elisabella Casellati rendeva omaggio a Giuseppe Zamberletti presentando un mio libro “La luna sulle ali”, il 19 maggio del 2021. C’erano il senatore Alessandro Alfieri, che aveva organizzato l’evento, il ministro Giancarlo Giorgetti, il sindaco Davide Galimberti, eravamo tutti mascherati per via del Covid. Tomassini regalò a una platea di vecchi e nuovi parlamentari un tenero ricordo di Zorro e lo descrisse come uomo del fare, del capire, del mediare. Quanta nostalgia!