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La Varese che comanda

  • Gianni Spartà
  • 23/02/2023
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Dopo le regionali

In quello che resta della politica (sei su dieci non votano più), Varese è: un caso di scuola (a); l’emblema del relativismo (b); un enigma di psicologia collettiva (c). Risposta univoca non c’è. E se c’è la lasciamo agli studiosi che da una serie di numeri sanno esplorare la selva oscura dei massimi sistemi. Limitandoci a quelli piccoli, ecco una serie di considerazioni. Città della Lega? Sì, perché dal 2013 la Lombardia è governata da un nostrano, prima Roberto Maroni, adesso e per altri cinque anni Attilio Fontana. No, perché il primo partito del capoluogo, nel disastro generale della sinistra, è il Pd trascinato, immaginiamo, dall’effetto Galimberti che mise fine all’egemonia del centrodestra, trainato fino a quel momento, è bene ricordarlo, dai voti di Forza Italia, oggi scomparsa.  Siamo un laboratorio ideale per alleanze innovative?  Sì, ma a nostra insaputa, dunque meglio fermarsi qui finché non avremo capito che cosa ci riserva il futuro a livello centrale. La prima indicazione  l’avremo dopo il “nuntio vobis” di Fontana seguito dai nomi dei suoi cardinali nella giunta del Pirellone. Certa è la mutazione genetica del territorio conosciuto fino agli anni ’80 come fortino di capitani d’industria. I quali consideravano le cose di Palazzo una distrazione da lasciare ad altri. Lo corteggiavano, certo, lo condizionavano pensando ai loro affari, non si sognavano di gettarsi nella mischia. L’aria è cambiata. Precisamente da quel 1992 che fu un Quarantotto anche per il povero prefetto di allora, Sergio Porena, ogni mattina assillato dal problema delle  scorte da assicurare a ministri, sottosegretari, grand commis del potere romano residenti in un territorio assurto a foresteria di pendolari del governo. Questo lembo di nord-ovest, quasi svizzero, aveva cambiato le sue vocazioni. Poi ci saremmo abituati al via-vai di auto blu con i lampeggianti sul tettuccio. Insomma: Varese, Così se vi pare e assalto al treno della politica, garanzia di lavoro ben retribuito. Scorrendo le preferenze del voto regionale, salta all’occhio la  fiducia accordata a emergenti capaci di farsi largo. Citiamo due casi, uno di destra, l’altro di sinistra, Emanuele Monti e Samuele Astuti. Fossero sacerdoti li potremmo catalogare come esponenti del basso clero più inclini al lavoro di sacrestia che alla predica dal pulpito. E’ un fatto che con 7-8000 mila suffragi a testa, si sono imposti in una battaglia dall’esisto scontato per le squadre, da conquistare per i singoli giocatori.Domanda: chi comanderà a Varese, che cosa dobbiamo aspettarci da una regione-pilota, segnatamente nel territorio che ne esprime la cabina di regia? Risposta: la politica comanda molto meno. Tiene le fila al massimo, ma è la coesione con la società civile, col mondo dell’impresa e delle professioni, con un terzo settore che di fatto è un terzo stato, la leva per il cambiamento. Fontana ha detto subito: prima il diritto alla salute, cioè ospedali pubblici patrimonio inalienabile. Ma è necessario l’apporto delle strutture private: la popolazione invecchia, ci vogliono letti, diagnosi celeri, cure a domicilio, bisogna fermare la fuga di medici e infermieri demotivati da stipendi bassi e da logiche aziendaliste che non accettano più. La scommessa non si vincerà trovando il migliore degli assessori possibili, ma riformulando un sistema decotto. Non per mancanza di fondi, ma per fame di idee coraggiose. 

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