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Auguri speciali

  • Gianni Spartà
  • 23/12/2022
  • 0

Scoop, gossip e guerra

Non è difficile immaginare che quando mai cattureranno Matteo Messina Denaro, ultimo re della vecchia mafia siciliana, a saperlo e a comunicarlo per primo al mondo sarà un rider di passaggio chissà dove, chissà quando e chissà perché. Col telefonino scatterà la foto di una scena probabilmente da intelligence, niente sirene, niente sparatorie; la posterà su Tik-Tok e in un nano secondo, a sua insaputa, metterà fine  alla leggenda della madre di tutte le latitanze. L’Oscar del “buco”, cioè della notizia data subito bruciando tutti, non sarà assegnato al più svelto dei cronisti giudiziari, ma a un ragazzo, magari di colore, che si guadagna da vivere portando pizze a domicilio. O a uno dei postini di Amazon, sempre in giro, ovunque. Ci è passato per la mente questo pensiero leggendo “Scoop”, il bel libro di Giangiacomo Schiavi, firma del Corriere, che è l’omaggio a una parola antica sostituita da un’altra nell’era digitale: “Gossip”. Si possono fare paragoni tra l’una e l’altra, la prima (scoop) associata all’epopea di Indro Montanelli, Enzo Biagi, Oriana Fallaci, più di recente di Venanzio Postiglione, Goffredo Buccini, Gianluca Di Feo, la seconda (gossip) alla marcia trionfale di Chiara Ferragni e Dagospia? Si possono mettere sullo stesso piano lettori e  followers? No, l’operazione è inutile oltre che anacronistica e a tentarla si rischia l’accusa d’essere passatisi: in fatto di informazione,  piattaforme, algoritmi, la sera si va a letto sapendo tutto e al mattino ci si sveglia ignoranti. Si può sperare, questo sì, che non sia il Copasir a dire se una notizia si può pubblicare o no perché tanti colleghi, checché se ne cianci, fanno ancora questo straordinario mestiere con onestà e orgoglio, vincendo la tentazione del copia e incolla. Prezioso materiale da maneggiare con cura quello di uffici stampa pubblici e privati. Schiavi rievoca che un fu un’inchiesta di Marco Nozza, capocannoniere del Girono a far scarcerare  Pietro Valpreda. Egli rintracciò il suo vero cappotto che non era quello descritto dal tassista Orlandi, il teste d’accusa.  Vale la pena ricordarlo a pochi giorni dall’anniversario di Piazza Fontana. Elogio del giornalismo sul posto: questa è la morale. E allora consentiteci di augurare Buon Natale ai tanti giornalisti che dallo scorso febbraio ci raccontano la guerra in Ucraina, schivando granate, scappando prima dell’arrivo di un drone bombardiere, rischiando la pelle in diretta e no, non sapendo mai se ci sarà un domani perché da un giorno all’altro si allontana anziché avvicinarsi il cessate il fuoco. Eccolo il vero Scoop: poter raccontare che Putin è caduto, è scomparso “accidentalmente”, ha fatto la fine di tutti i dittatori. Oppure annunciare che Zelensky sta valutando lo straziante sacrificio patito dalla sua gente, si sta convincendo che una pace precaria è meglio di uno sterminio certo.  Intanto gli inviati di guerra, soprattutto donne, ci mettono la faccia e la firma. Stefania Battistini della Rai si è trovata nel mirino dei kalashnikov mentre lavorava per il Tg1 dalla stanza d’albergo. Loro sono lì a sgranare il rosario di notizie viste, altri celebrano messe cantate dai tal show né al freddo né al buio.  Insomma auguri al giornalismo che si adatta benissimo alla legge dominante del web, che si è già reiventato senza indulgere alla nostalgia canaglia, che ha dimostrato una cosa: qualsiasi rivoluzione tecnologica ha bisogno del capitale umano per produrre effetti. Nessun clic sostituisce un’idea, l’intelligenza artificiale sui mercati finanziari è una bolla, nella vita di tutti i giorni una balla.            

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