Blog



Varese? I care

  • Gianni Spartà
  • 27/08/2021
  • 0

I 29 afghani salvati

Anni e anni con addosso il marchio di provincia chiusa, scorbutica, inospitale, ripiegata su se stessa, più svizzera che lombarda, ieri diffidente verso quelli del Sud, oggi ostile allo straniero specialmente non di “razza bianca”. Uno stereotipo, certo, un falso storico, si capisce, ma utile a un tale con ciuffo ribelle e occhialoni da miope che alla fine degli anni ’80 s’immaginò trecentomila baionette varesine e bergamasche pronte a saltare nella trincea di una guerra di indipendenza per occupare la Padania, data per esistente, e sconfiggere Roma ladrona. Lo confesso: non sono mai ruscito a detestare Umberto Bossi nè a prenderlo sul serio. Lui ci credeva:  per rifondare la politica, s’inventava dei nemici. E lo faceva da una città che già subiva il dileggio radical chic. Celebre una cannonata di Giorgio Bocca in un articolo sul Giorno : “Varese si specchia nella sua merda”. Alludeva al nostro lago imputridito dagli scarichi ed era un modo per castigare una certa  Lombardia sazia, ricca e miope. Andava così. E ora accade il miracolo: siamo diventati accoglienti, inclusivi, generosi, sorpredentemente aperti e altruisti. Fioccano complimenti, udite udite, per una storia che Prealpina ha scoperto e i social commentano da giorni magno cum gaudio. Una famiglia di Varese, anzi di Bugiuggiate, gente che ama l’avventura, ha salvato dal martirio talebano 29 afghani sottraendoli al tragico bivacco nell’aeroporto di Kabul. Si sono ricordati di averli conosciuti durante un viaggio, potevano voltarsi dall’altra parte, non l’hanno fatto e tra i primi in Italia si sono mossi non per spaccare il capello in quattro ma per prendersi cura di vite. Varese: tutta un’altra storia? No, non c’è nessuna altra storia C’è quella vera che però non è mai entrata in un manifesto politico. Un esempio significativo. Si scava nella memoria del secondo dopoguerra e all’orizzonte spunta un San Carlone di Arona, ma  in carne e ossa, che come gli eroi di Buguggiate fu pioniere della cooperazione internazionale. Si chiamava Vittorio Pastori, pesava 260 chili, da un giorno all’altro chiuse il suo ristorante per ricchi nel centro storico della città giardino e andò in Uganda a cercare e sfamare bambini denutriti. Ne nacque una strepitosa organizzazione di aiuti umanitari tra Varese e Piacenza. Molti di quei disgraziati senza cibo nè acqua arrivarono in Italia e qui sono rimasti. Vittorione era un topone di sacrestia, sempre in mezzo ai preti. Prima che lui morisse, un vescovo illuminato, Enrico Manfredini, gli fece il regalo di nominarlo  diacono. La virtù del farsi prossimo l’aveva imparata in questa Varese provincialotta, forse, razzista, quando conviene affermarlo o negarlo, e invece carica di valori fondanti. Sulla scia del “panzer di Dio” centnaia di medici lombardi sono andati a lavorare in Africa, a trasfformare capanne in sale operatorie, a vivere varesinamente  senza sentirsi santi. Ma nemmeno barbari.

Aggiungi Commento

Nome
Email
Testo Commento (evidenzia per modificare)

(0) Commenti