Blog



Io, Gaber, Battiato e Zamberletti

  • Gianni Spartà
  • 21/05/2021
  • 0

Diario di un italiano

“Io non mi sento italiano, ma per fortuna, purtroppo lo sono”. Avevo in mente il ritornello di una canzone di Giorgio Gaber, entrando ieri l’altro a Palazzo Madama in una Roma senza giapponesi e americani. E pensavo a Franco Battiato: bisogna cercare qui dentro un centro di gravità permanente che non faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente? Ero già stato al Senato da cronista, una volta per intervistare Francesco Cossiga appena sceso dal Colle dopo aver buttato giù tutto a picconate. Ma stavolta ero ospite della seconda carica dello Stato, Maria Elisabetta Casellati, per parlare di un mio concittadino, Giuseppe Zamberletti insieme , con altri quattro varesini: un ministro, Giancarlo Giorgetti, due senatori, Alessandro Alfieri e Antonio Tomassini, il sindaco, Davide Galimberti. Al tavolo anche Fabrizio Curcio, nuovo capo della Protezione Civile, un tipo da caos calmo, nervi e testa. Beh, sarà stata la solennità del luogo o l’onore dell’invito, ma italiano mi sono sentito anch’io. Orgogliosamente, maledettamente, fortunatamente italiano in un momento disgraziato e per il ricordo di uno che delle disgrazie degli altri si è occupato tutta la vita e la cosa lo turbava. Differenza: un terremoto sai che cos’è, di un virus bastardo e parassita che vive solo se incontra una cellula umana un anno e mezzo fa non sapeva nulla nessuno. Zamberletti e “La luna sulle ali”: come raccontare ai dottori della legge questa storia? Prima di tutto il profilo del personaggio del quale Sergio Mattarella ha scritto: “La Repubblica gli è grata”, e l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ai funerali di Stato ha detto: “Questa persona ha curato le ferite dell’umanità”. Chi è stato davvero costui? Tante cose. Non un tecnico, come qualcuno crede, ma un maestro della politica migliore, di cui sapeva affrontare le curve, come spiega nel libro il primo presidente della Lombardia Piero Bassetti. Non un tipo da pacche sulle spalle, ma uno competente, deciso, efficiente quando lo Stato lo mandava sui fronti di terremoti e alluvioni o nel Mar Giallo con tre navi della marina militare a salvare mille vietnamiti in fuga dagli orrori della rieducazione comunista dopo la ritirata degli americani da Saigon. Insomma l’autentico uomo delle istituzioni repubblicane, uno che ha cambiato qualcosa in Italia, inventandosi la moderna Protezione Civile. Qualcosa che non bisogna capire compulsando il linguaggio spesso oscuro delle leggi: tutti sanno che cos’è, che cosa fa, a che cosa serve, soprattutto nell’emergenza che stiamo vivendo e dalla quale vogliamo uscire. Oggi sarà contento da lassù Zamberletti vedendo un suo erede, Fabrizio Curcio, in giro per l’Italia al fianco di un uomo in tuta mimetica con le mostrine del generale di corpo d’armata. Secondo la sua esperienza, binomio perfetto quando il Paese è in pericolo. Il piccolo Giuseppe collezionava soldatini. Da grande ha amato i vigili del fuoco, gli alpini, ma il suo braccio operativo in Friuli, in Irpinia sono stati gli uomini in divisa coordinati. E i sindaci. Diceva che nessuno poteva aiutare un commissario straordinario meglio di chi conosce da vicino le comunità. Sì, ha avuto un’impronta militarista e al tempo stesso civica il suo agire poi trasfuso nella travagliata legge della Protezione Civile: 25 anni per farla, dal 1970 al 1995. E d’altra parte Zamberletti è stato il primo e l’ultimo gollista ma da posizioni cattoliche, non di culto per l’uomo solo al comando. Quanti mal di pancia ha causato ai vecchi democristiani che a un certo punto - racconta lui nella biografia- “mi fecero sottosegretario a 34 anni per impedirmi di pensare e di scrivere”. “Zambo” tifava per la repubblica presidenziale sul modello francese ed è stato profeta. Gli ultimi sei governi del Paese hanno avuto arbitro e regista il Quirinale, ciò basta a farci ritenere straordinariamente attuale i pensiero politico del Generale Terremoto. Il quale non è sospettabile di scarsa considerazione parlamentare avendo passato sei legislature alla Camera, l’ultima breve, due anni, al Senato e avendo mostrato qui dentro la sua virtù di instancabile mediatore, di pontiere, anche di pompiere quando il suo amico Francesco Cossiga faceva l’incendiario. Zamberletti ha avuto in sorte di vedere germogliare la Lega sotto le finestre di casa sua, a Varese, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 in pieno marasma Mani Pulite. E nelle  drammatiche elezioni politiche del ’92 vestì i panni dell’unico democristiano superstite in un mare tutto colorato di verde in Lombardia. La notte dello spoglio delle schede s’era rifugiato nella redazione della Prealpina, terreo in viso, una sigaretta dietro l’altra. Si sentiva  l’ultimo dei Mohicani. Alle due di notte arrivò una telefonata dal Quirinale: “Sono Cossiga dite a quel disperato  del mio amico Zamberletti, so che è lì da voi, che ce l’ha fatta a diventare senatore. Lo chiamo domani”.  Il personaggio si rianimò e iniziò l’ultimo miglio della carriera parlamentare proprio nel palazzo in cui ieri l’altro gli abbiamo reso gli onori parlando della sua biografia. Perché “La luna sulle ali”? E’ una suggestione del giovane Zamberletti, aspirante deputato, presidente dei giovani democristiani.  Andava a Roma con voli postali notturni, si sedeva nel posto più vicino al finestrino e lo affascinavano i riflessi della luna sulle ali dell’aereo. “Pensavo - racconta nel libro- che la mia carriera politica iniziasse all’insegna della bellezza”. Idealista? No, innamorato dell’avventura più gratificante che a un essere umano può capitare.  

Aggiungi Commento

Nome
Email
Testo Commento (evidenzia per modificare)

(0) Commenti