Universo Mia
- Gianni Spartà
- 13/05/2025
- 0
Non finisce mica il cielo
Era di Bagnara come i Florio partiti da quella parte dello Stretto per diventare Leoni di Sicilia. Lei una tigre: calabrese cocciuta e ribelle, amante delle libertà che andavano in piazza nei suoi anni. Poi si arrese: “Sono stanca, hanno vinto loro”. Ce l’aveva fatta ad addomesticare un padre iroso e manesco, irritato da quella figlia con le trecce nerissime che da piccola si metteva davanti allo specchio e imitava la Fitzgerald con in mano una spazzola per capelli, microfono per finta. Ebbe difficoltà a cantare Padre davvero, scritta per lei da Antonello De Sanctis. Il ritratto di quell’uomo le sembrava familiare, Giuseppe Radames Bertè, professore di greco e latino, poi preside nei licei del Nord. La feriva un verso: “…chi ti somiglia? Ma sei sicuro che sia tua figlia”. L’ha rovinata lo schifo della superstizione: dicevano che portava iella. Cominciò un cretino con una palla di neve che rotolando lungo la montagna della calunnia divenne valanga. Sotto quel macigno di voci, gesti scaramantici, restò seppellita lei che pure aveva lottato. Mia Martini, classe 1947, al secolo Domenica Bertè detta Mimì, è morta di crepacuore il 12 maggio 1995 nel suo letto a Cardano al Campo, paese in mezzo alla città metropolitana di Malpensa, mentre ascoltava la sua musica. Sono passati trent’anni fa. “Suicidio” sarebbe stato un cibo comodo per gli avvoltoi: escrementi umani li chiama la sorella Loredana Bertè, veramente usa altre parole. Invece la Procura di Busto Arsizio archiviò la pratica con due parole: arresto cardiaco. Certo, lei era sofferente, ingoiava farmaci, sola e assediata dai debiti. Non l’aveva consolata il premio della critica a Sanremo, che porta ancora il suo nome, nel 1982 per Non finisce mica il cielo scritta da Ivano Fossati, un suo amore grande, E nemmeno l’ultimo successo strepitoso nel 1989 con Almeno tu nell’universo, autore Bruno Lauzi che ha accompagnato l’invio del testo con un biglietto: “Sempre al tuo fianco, fagli vedere chi sei”. Un’occhiata alle classifiche di Spotify alla voce Mia Martini: 38 milioni di ascolti per Minuetto, 18 per Piccolo Uomo, 16 per Almeno tu nell’universo. Per lei hanno scritto anche Maurizio Piccoli, Biagio Antonacci, Claudio Baglioni, Dodi Battaglia, Lucio Battisti, Gianni Bella, Giancarlo Bigazzi, Califano, Riccardo Cocciante, Giovanni Conte, Paolo Conte, Fabrizio De André, Francesco De Gregori. Riscoperta da morta non è vero. Ha sempre avuto un grande pubblico, non ha mai vinto a Sanremo, ma sulla storia del festival ha lasciato un’impronta inconfondibile. L’ultima esibizione in gonna lunga a balze bianche su sfondo scuro, body e giacchino di pizzo che i modisti chiamano scaldacuore. Ne aveva bisogno. I suoi inizi coincidono con le rivolte operaie e studentesche. Sbarca a Roma con uno sciroccato che si chiamava Renato Fiacchini e poi diventò Renato Zero. Con lei Loredana già esagerata, sempre in minigonna per via di due gambe monumentali. La scopre in un night di periferia Alberto Crocetti della Ricordi. Le dice che le canzoni non le deve canticchiare, le deve interpretare. Aggiunge che deve avere nome e cognome d’arte con le stesse iniziali. Lei è testarda, poi si fida. Nasce Mia Martini. E arrivano i cavalli di battaglia. Piccolo Uomo gliela scrive Dario Baldan Bembo, poi nella sua vita irrompe Califano con Minuetto. Se la vuole portare a letto, non ci riesce. Gli dice: ricordati che l’amore è il motore della vita, tutto il resto so’ fregnacce. La scena è in un film della Rai, Io son Mia, interpretata divinamente da Serena Rossi. Ma a rompere tutto provvede il pregiudizio bastardo: quella lì porta male. I locali si svuotano quando entra lei. Un produttore che gli propone il cinema incassa il no: io voglio cantare. Lui si vendica allargando la cerchia dei calunniatori. L’abbandona anche la Ricordi, muore in auto il suo nuovo manager Giancarlo Dentice. Mia Martini resta sola, come l’hanno trovata in casa sua a Cardano al Campo, esangue. C’era tornata povera e indebitata. Suo padre andò a sentirla all’Ariston l’ultima volta. Si era separato dalla moglie. Nella fiction è in lacrime, non più severo e intransigente: “Cara Mimì, adesso io non posso reprimere la tua voglia di libertà. Non ne ho titolo. Perdonami”