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Turarsi il naso

  • Gianni Spartà
  • 17/08/2022
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Letta

Un redivivo Indro Montanelli non inviterebbe mai gli italliani a votare PD turandosi il naso, come fece con la DC in anni lontani. La spiegazione è semplice: non si tratta di scegliere tra il ladro e il boia ma , in perfetta sintonia col nostro tempo, tra chi si percepisce come affidabile, dentro e fuori dei nostri confini, e chi no. E anche se la sorpresa è percepire futura premier Giorgia Meloni, diretta come una borgatara, scaltra come una volpe, in ogni caso donna di grande fiuto, nessuno si sente autorizzato ad accostare al boia  (chi molla) una signora nata del 1977. La sorpresa, caso mai, è dover ancora nutrire dubbi sulle garanzie di stabilità dei Democratici. I quali non sono eredi nè di De Gasperi nè di Togliatti, nè di Moro nè di Berlinguer, ma una Cosa alla quale è fatica improba dare una identità precisa, forte, inequivocabile. Il difetto sta nel manico, non nella vomitevole ricerca di alleanze. Calenda è un furbacchione, come Renzi: possibile che Letta sia stato sereno fino alla setttimana scorsa? Ma intediamoci: la politica non esclude la furbizie e dai tempi di Gesù nemmeno il bacio fedifrago. No, il guaio è un partito che a trent’anni dall’Ulivo spezzato, a venti dalle congiure di Bertinotti non sa come tenere insieme cattolici e sinistre e finirà nei libri di storia dei nostri nipoti come il più strepitoso maggiordomo di avversari: Berlusconi due tre volte, la Meloni alla vigilia delle sciagurate elezioni del prossimo 25 settembre 2022, l’anno della guerra e del Covid, entrambi in pieno svolgimento. Se il PD fosse sinistra, il suo leader non sarebbe Letta ma Fratoianni. E se fosse il partito dei moderati di tradizione cattolica, come segretario avrebbe l’immarcescibile Casini.  Ragionamenti da spiaggia, ce ne rendiamo conto, che contemplano anche pensieri sulla destra o su quella che così appare, benchè pervasa di contraddizioni identitarie coperte con la foglia di fico del “meno tasse per tutti”.  Stavolta senza la fiction del contratto  con gli italiani firmato nello studio di Bruno Vespa. Dopo le brutte copie dei governi d’emergenza (giallo-verde Conte 1, giallo-rosso Conti 2, tutti i colori dell’arcobaleno Draghi interruptus) l’impressione è  che la prova del nove del voto popolare  ci consegnerà uno sgradevole spezzatino, senza sapori dominanti. E dunque con faticose esplorazioni per la scelta del cuoco al quale consegnare il mestolo. Povero Mattarella. Vale per il premier, si capisce, che dovrebbe essere scelto, stavolta, nel piatto della politica, vale soprattutto per i ministeri, idem. Fin qui si ragiona per sondaggi. Ma poi quanti elettori si recheranno davvero alle urne? A centoquarant’anni dalla nascita di Giuseppe Prezzolini, a quaranta dallla sua morte, vale la pena di ricordarlo come l’inventore della congregazione degli apoti: quelli che non se la bevono. Era il 1922, il Maestro con la sua proposta si chiamava fuori della lotta politica che era feroce: su fronti opposti don Sturzo, Piero Gobetti, Mussolini. No, non si possono fare paragoni  

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