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Rieccoli

  • Gianni Spartà
  • 04/08/2022
  • 0

Convergenze parallele nuova serie

Ha sollevato l’animo alle pantere grigie la presenza di Emma Bonino all’annuncio dell’alleanza Pd-Azione. Anche non sospettabili di radicalismo pensano che un po’ di sano passato giovi a dare garanzie al confuso presente. O forse è un’illusione ottica. In ogni caso, senza confodere Letta e Calenda con Moro e Nenni, siamo tornati alle convergenze parallele ma a parti rovesciate. Non è la Dc, padrona del voto moderato, che cede sovranità elettorale alla sinistra non totalitaria, cioè al Psi, ma è l’esatto contrario: i Dem imbarcano personaggi che per rompere il gioco bipolare si inventano un centro largo. Si  segnala un’altra immagine della serie chi l’avrebbbe mai detto: la stretta di mano tra Luigi Di Maio, il nuovo andato a male , e Bruno Tabacci, il vecchio inossidabile. Mutuo soccorso e spartizione. Dopo il Draghicidio e quando nessuno osa pensare chi possa essere il prossimo premier e con i voti di quanti italiani, la politica si avvita, si contorce, fa capriole, torna al lessico della Prima repubblica pentendosi di averlo superficialmente sbeffeggiato nella Seconda con i suoi apprendisti stregoni. Non l’avesse fatto, avesse seguito le antiche regole, il Colle non sarebbe stato costretto negli ultimi undici anni a scegliere in proprio presidenti del Consiglio fuori dell’area parlamentare. I governi sarebbero nati, nel bene e nel male, utilizzando materiale disponibile e non sarebbero caduti per sgangherate manovre di palazzo, diverse dalle congiure che rimangono cose serie.  Indro Montanelli redivivo  titolerebbe questa storia con l’espressione usata per l’ultimo esscutivo guidato da Fanfani una sessantina di anni fa, “Rieccolo”. Ora al plurale: Rieccoli, anzi Rieccoli 4.0. Riecco il tentativo di fare del Pd il federatore del centrosinistra, riecco nel centrodestra convergenze acrobatiche per salvare la capra del semipresidenzialismo sognato da Giorgia Meloni e i cavoli delle autonomie regionali rimpiante da Matteo Salvini. Il quale voleva essere un leader nazionale e mentre andava a pescare in Sicilia perdeva le raccaforti della Lega al Nord. Ora rivuole il Viminale ma se non dovesse arrivare secondo dopo la Meloni addio sogni di gloria.  Che il quadro rimanga quello sopra descritto non è probabile. La sinistra-sinistra non ci sta a reggere il moccolo a Letta e a Calenda.  Mancano ancora tante caselle e questa volta non si gioca a Risiko:  siamo al “mors sua vita mea”,  primo perchè il prossimo parlamento avrà 230 deputati e 115 senatori in meno, secondo perchè all’interno delle alleanze già fatte e no  voleranno macete e scimitarre per accaparrarsi collegi uninominali e quote proporzionali sicure. I già esclusi, non solo tra i Cinque Stelle, sono di nome. E’ fuori l’attuale presidente della Camera Fico, è in cerca di una scialuppa di salvataggio la Casellati, seconda carica dello Stato, rischiano ministri tecnici come la Cartabia che non hanno scuderie di appartenenza. Pensierino della sera: Mario Draghi è ancora in capo del governo e lo sarà fino a ottobre inoltrato. Un ottobre rosso. Davvero ci saranno squilli di tromba per torglierselo dai piedi? C’è sempre la mano di Sergio.

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