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Vecchi turbanti

  • Gianni Spartà
  • 29/06/2022
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Del Vecchio e Mazzucchelli

Istruzioni per l’uso di quanto state per leggere: è severamente vietato indulgere alla nostalgia, al rimpianto, peggio al confronto. Che è dannoso nella storia e nella politica, figuriamoci nel mondo dell’economia e della finanza. Inutile scomodare l’umanesimo quando imperano i marziani. E i criminali di guerra. Ma in morte di Leonardo Del Vecchio e pensando che Agordo non è tanto diversa da Castiglione Olona, salvo per alcuni monumenti toscani catapultati in riva a un fiume lombardo dal genio di un cardinale, la memoria corre a Silvio Mazzucchelli (1892-1968), stesso stile del re degli occhiali, stesso illuminismo d‘impresa, stessa concretezza spalmata sulla dimensione mondo e uguale attenzione all’impegno nel sociale. Intanto gli sopravvive l’azienda, la Mazzucchelli 1849, dove il numero indica la data di fondazione, con tutti i ridimensionamenti dovuti al tempo: ne è sempre azionista la famiglia, ormai alla quinta generazione. Girando poi per il “paese di plastica”, come lo chiamano i castiglionesi, sono ancora evidenti i segni lasciati dall’uomo che detestava l’Io e privilegiava l’Ombra: casette in stile inglese per la maestranze, niente casermoni, luoghi di svago tuttora affollati dagli ex mazzucchellini, addirittura un museo che espone opere di grandi artisti internazionali chiamati a riciclare col dono della creatività gli scarti delle fabbricazioni. Vi si dedicò il figlio Franco. Ci fosse ancora Indro Montanelli farebbe l’elogio dei “vecchi turbanti” per Leonardo come lo faceva per i coevi di Silvio, entrambi esponenti di una aristocrazia imprenditoriale capace di coniugare l’iniziativa produttiva con i più alti diletti intellettuali.L’opposto di un’altra tipologia, i “giovani turchi”: personaggi ruvidi, ugualmente capaci, ma amanti delle ribalta, del successo da ostentare.  A Mazzucchelli Terzo (prima di lui vennero il nonno Santino e il papà Pompeo) piaceva una frase di Lincoln: “Come non vorrei essere uno schiavo, così non vorrei essere un padrone”. Celebrava inoltre  Quintino Sella, ministro delle finanze, che dal bilancio dello Stato aveva fatto eliminare la voce “mantenimento gatti” riferita alle spese per la tutela degli archivi dall’assalto dei topi. Con quale logica accollare al cittadino simili oneri se i felini, per dettato naturale, danno la caccia ai roditori? Piccole cose, lette oggi, ma utili al ritratto di un gran liberale convinto che il conflitto tra le classi si dovesse risolvere non con la lotta ma col progresso economico. I ricchi sarebbero diventati più ricchi, i poveri meno poveri. Per la festa delle corporazioni, a Mazzucchelli S. ripugnava doversi presentare sul palco delle autorità in stivali e camicia nera quando era presidente degli industriali varesini: a denti stretti, ci andò una volta soltanto. Lo affascinavano invece le democrazie anglosassoni e ricordandolo a 130 anni dalla sua nascita non si possono dimenticare due fatti che riguardano il territorio. L’impegno per l’alfabetizzazione operaia in una scuola professionale interna alla fabbrica di Castiglione Olona con insegnanti pagati dalla proprietà (“l’ignoranza è più grave della disoccupazione”, diceva Mazzucchelli)  e lo sviluppo didattico dell’Istituto tecnico industriale di Varese con corsi esclusivi per periti plastici. A lungo la città-giardino fu l’unica in Italia a fornire questa specializzazione che attraeva studenti da ogni angolo  del Paese. Tutto qui e solo per fare memoria di un personaggio che in una fotografia dell’album di famiglia è seduto in poltrona avvolto in un accappatoio bianco tra le orchidee e i giardini della sua villa in  cima al Colle San Pedrino. Potrebbe essere il ritratto di un principe a riposo, non di un uomo che in quegli anni scopriva la celluloide in America e ne importava la produzione in Italia. Accanto a lui la figlia Adele, “signora con le ali”, detentrice di record mondiali ancora imbattuti nel volo senza motore. Ma questa è un’altra storia.

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