Blog



La linea rossa MI-VA-TO

  • Gianni Spartà
  • 20/10/2021
  • 0

Elezioni a Varese

Quando gli spalti restano semivuoti  per un derby tra la Lega, un tempo padrona di casa, e il Pd, che cinque anni fa la spodestò e ieri l’altro l’ha soffocata; quando in campo ci sono un sindaco contro un deputato della Repubblica, entrambi garbati e preparati; quando gli storici scriveranno che la partita aveva rilevanza quanto meno regionale se non nazionale, come dimostra il poker di presenze di un leader più interessato a Varese che a Roma, Torino, Trieste; quando tutto ciò accade i casi sono due: la democrazia è stanca oppure ha stancato. Non sapremmo dire che cosa sia peggio ma ne conosciamo le cause. Classe dirigente sciatta e improvvisata, addirittura socialmente pericolosa, se pensiamo che il drago pandemico non è ancora sconfitto e dall’alto vigila (fino a quando?) il Draghi ecumenico. Ma proviamo a capire che significato ha il bis di Davide Galimberti al di là dei confini locali. A cavallo dello snodo tra l’A4 e l’A8, le due autostrade pedemontane,  spine dorsali del sistema economico del Paese, s’intravede , oggi rispetto a ieri, una netta prevalenza del verbo progressista a livello dei comuni, fondamenta della pubblica amministrazione. Da Varese a Bergamo s’allunga una linea rossa, da Milano a Torino una metropolitana dello stresso colore. Se questa non è un’opportunità da cogliere per forze politiche che di opportunità ne hanno distrutte tante, preferendo all’intesa il suicidio, allora hanno ragione gli elettori a disertare le urne. Ma se Galimberti, Sala, Lo Russo e Gori saranno all’altezza di intuire la grande occasione di fare rete, la sfida è da seguire fino in fondo. Pensando, tra l’altro, alle non lontane elezioni regionali. A battere il populismo, a ridicolizzare il sovranismo, ci ha pensato l’astensionismo, è vero, a rigore di numeri. Ma non leggere nel fenomeno, oltre alla stanchezza di cui sopra, anche la delusione verso il dire (tanto), il fare (poco), il confondere (troppo) di leader logori, sarebbe errore grave. Cosa che il grande vecchio di Arcore, nelle rare esternazioni, ha fatto capire godendo dei successi dei suoi e della Caporetto dei non suoi. Ma qui, è ovvio, ci interessa la spinta che, pur da una posizione di confine, Davide Galimberti, ex faccia d’angelo tramutatosi in soggetto politico di statura, saprà fornire alla coesione invocata fino allo stremo da Sergio Mattarella. Non si vince, nel calcio ma anche nel basket, guardando la porta o il canestro e ignorando le fasce laterali. E Galimberti  ha prevalso al ballottaggio con i voti della sua coalizione (comprensiva di ciò che resta dei Cinque Stelle rinsaviti), ma anche con quelli della fascia moderata: cattolici, qualche civico, centristi, riformisti. In attesa dello studio dei flussi elettorali, si può dire che la roccaforte ciellina di Varese, non più abbagliata dal formigonismo, ci ha messo del proprio nel determinare il risultato  finale? Pensiamo di si, a naso. Questo fatto, se acclarato in consultazioni generali subito annunciate dal sindaco, suggerisca la rotta delle aperture, non delle chiusure e nemmeno della melina a centrocampo. Detto che il centrodestra ha vinto a Gallarate e a Busto, mentre a Varese è stato asfaltato e Bianchi non ha colpe (problemi di regia?) , un accenno ai votanti di questa città con solide tradizioni di pragmatismo. Giuseppe Prezzolini metterebbe i varesini nella schiera degli apoti: quelli che non se la bevono

Aggiungi Commento

Nome
Email
Testo Commento (evidenzia per modificare)

(0) Commenti