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La missione del BisConte

  • Gianni Spartà
  • 09/08/2019
  • 0

La Gazzetta dello Sport giornale più letto dagli italiani durante la crisi di governo. La notizia non è vera, la solita bufala di un social: il primato della "rosea" dura tutto l´anno, da tanti anni. Ma la notizia è verosimile se serve a fotografare la disaffezione dei sudditi di rango davanti alle follie dei loro e re. Disaffezione è sinonimo di sfiducia, distacco, indifferenza, largheggiando di rassegnazione e di nausea. Certo: migliaia di telespettatori nei giorni scorsi hanno seguito gli speciali dei tg, come si trattasse di una partita di calcio della nazionale. Ma i record d´ascolto soprattutto sulle reti del servizio pubblico non cancellano il disinteresse per la politica specialmente - ed è una perdita - nei ceti medio alti: imprenditori, professionisti, insegnanti, studiosi che sono lo zoccolo duro di quanti non votano più (quasi il 50%) non sapendo più a che santo votarsi. Essi sono coloro ai quali è difficile dare a bere che il nuovo governo nasce dal basso, per volontà degli iscritti alla piattaforma Rousseau. A parte che il referendum digitale ha coinvolto uno zero virgola rispetto a 60 milioni di italiani, il Gatto e la Volpe, cioè Grillo e Casaleggio, sapevano già il risultato e hanno affidato a Pinocchio, cioè Di Maio, il compito di drammatizzare una consultazione il cui esito era stato preventivamente verificato. Non mancano i mezzi tecnologici al Grande Fratello pentastellato. Resta da capire perché un Paese che ha non una Camera, ma due, pagate con soldi pubblici, dovrebbe affidare le proprie sorti a un sondaggio privato. Ma questa è un´altra storia. Sono coloro, i disaffezionati, che non hanno digerito la recidiva di alleanze innaturali: la prima tra Movimento Cinque Stelle e Lega, quattordici mesi fa, la seconda, oggi, tra Zingaretti e Di Maio che si odiavano platonicamente. E hanno preso atto di una manovra di palazzo spinta dietro le quinte dalla manina di Renzi, un alieno rispetto al Pd attuale. La presa di distanza della buona borghesia dalla politica è il vero nodo che dovrà sciogliere il nuovo governo, presieduto oltre tutto da uno riconducibile non al bar sport, ma proprio a quella fascia culturale e professionale che da una decina d´anni a questa parte non si sente rappresentata. La quota più alta dei disertori delle urne si registra tra elettori con preparazione universitaria. I programmi di un esecutivo che giura nelle mani del capo dello Stato sono tutti belli, ariosi, piacevoli da leggere: il lavoro, l´ambiente, il patrimonio artistico, la lotta alle disuguaglianze, meno tasse per tutti. E perché no, la pace nel mondo? Ma il primo impegno in un´Italia sfilacciata, con un Sud scomparso dai radar per i dati economici, ma di nuovo presente in forze nella carta d´identità dei ministri, dev´essere proprio il recupero di quelle energie migliori perse per strada in anni scapestrati. Il monito riguarda soprattutto il Pd, anche se è minoranza nel governo del BisConte: ha tanta presunzione, il peccato più grave, da farsi perdonare. Deve recitare il mea culpa se gli operai votano Lega e non da ora (c´era ancora Bossi); se gl´industriali, delusi da uno di casa, Berlusconi, avevano guardato proprio ai Democratici ed erano felici che tra le loro file si fosse iscritto Calenda, giudicato i loro occhi leader affidabile, e poi si sono trovati a dover dialogare con il giallo e il verde; se, infine, scomparsi i partiti storici, capaci di esprimere un pensiero moderato, il Paese è scivolato ai piedi di Salvini. Al quale bisogna riconoscere d´aver approfittato alla grande del vuoto attorno a lui. In fondo anche il Truce, come i leader del Pd, ha peccato di presunzione gridando gatto senza averlo nel sacco (scioglimento delle Camere subito). Ritrovare la strada è l´impegno col quale si mette all´opera il nuovo governo del quale Mattarella si è affrettato a disconoscere la paternità: ha fatto il notaio. Come dire: non prendetevela con me, come ve la prendeste con Napolitano, se le cose non andranno per il verso giusto. E d´altra parte c´è una grossa differenza di stile e di metodo tra i due presidenti della Repubblica. Li accomuna solo il guaio di aver avuto a che fare con classi dirigenti oratoriane, litigiose, permalose, sprovviste di senso dello Stato. Ciò ha provocato il divorzio dell´Italia degli ottimati dalla politica e da chi la incarna. Se ci pensate questa è la fuga di cervelli più preoccupante.

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