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Detassare Lampedusa

  • Gianni Spartà
  • 21/09/2023
  • 0

L’isola martoriata

La fiction della visita di Lady Ursula e Lampedusa è durata ottanta minuti, meno di una puntata del Commissario Montalbano. Una bella foto accanto alla nostra Giorgia davanti alla montagna di barconi sotto sequestro nel centro storico dell’isola, lettura di un vangelo preparato da qualche sherpa della tastiera e la messa cantata è finita. Giunta alle 10 del mattino, la rappresentante dell’Ue disunita alle 11 e 20 era già sull’aereo che la riportava a Bruxelles. Un solo effetto benefico: la scomparsa notte tempo di cinquemila immigrati ospitati nella prigione in cima a una alla collina e delle brandine disseminate lungo la strade d’accesso. Salvata la faccia che Giorgia Meloni ci metteva per la terza volta annunciando l’ultimo effimero  giro di vite. Né chiusura dei porti né blocco navale, cose già tentate e fallite in questa interminabile odissea: s’allungherà fino a diciotto mesi la possibilità per i profughi di restare in quell’inferno chiamato hot-spot. E nel frattempo si provvederà allo smaltimento. Brutto termine, scusate. Lampedusa si porta addosso la maledizione d’essere il luogo più vicino alle terre da cui migliaia di disgraziati scappano e spesso annegano. Il problema è di tale portata umanitaria che nessuno lo sa risolvere. A meno che non si mobilitino i caschi blu dell’Onu con bandiera bianca, altro non resta che occupare Libia e Tunisia per colpire il male alla radice. Ma vorrebbe dire guerra, oltretutto teorica, e ne abbiamo già abbastanza. L’Europa ha solo la moneta unica in comune, non un esercito, tra tante altre cose. E l’America come vedete se ne sta ai margini, muta, assente, non in pericolo e quindi disinteressata. Povera Lampedusa. Meriterebbe il Nobel della tolleranza, se non della pace. Quando ha smesso di essere sulla traiettoria dei missili lanciati dall’irrequieto Gheddafi - e una volta uno di questi aggeggi si fermò a poche centinaia di metri dalla Spiaggia dei conigli - è diventata il capro espiatorio di una vergogna planetaria. Né l’Europa né l’Africa,  giganti diversi, sono stati capaci fin qui di salvarla dalla rovina degli sbarchi. Che ci sono dal 1994 e nessuno diceva niente allora. Poi sono cominciate le tragedie, volute, previste, organizzate da truci scafisti sulla pelle di madri e bambini e il porto dell’isola è diventato un set. Centinaia di network schierati come un’artiglieria, pronti a trasmettere immagini di cadaveri chiusi in sacchi di plastica dopo essere stati estratti dalla stiva di un barcone, dove non si respirava più per i gas di scarico e si moriva lentamente. Anestetizzati. Attorno a questo cimitero l’oziosa battaglia tra buoni e cattivi, lo scaricabarile tra autorità pubbliche e Ong e anche il fenomeno non visto. I lampedusani raccontano che le notti sono popolate da fantasmi, che alle prime luce dell’alba, lontano dal palcoscenico internazionale, cioè il porto, centinaia di alieni con la pelle nera approdano senza controllo, toccano terra e spariscono. Vivi e vegeti, a differenza delle mummie allineate sulla banchina in attesa del sopralluogo del magistrato di turno. Di quest’altro focolaio della peste, sicuramente  criminale e clandestino, non parla nessuno. Ma gli attracchi più pericolosi sono quelli non intercettati. Eccola la schizofrenia di una tragedia epocale. Un suggerimento alla premier che ci mette la faccia parando sportellate partite da membri del suo governo. Nell’opaca stagione dell’orrendo superbonus chiami Giorgetti, di cui dovrebbe fidarsi più che di Salvini, e gli chieda di studiare una tregua fiscale per quanti hanno perso tutto, pesca, turismo, immagine. Un anno senza tasse a Lampedusa. Si può fare? Sì che si può fare. Gli abitanti di laggiù si salutano dicendo “O’ scià”, che significa “fiato mio”, cioè il respiro, il dono più grande della vita. Quest’isola dove nuotano ignare le tartarughe, sta dando a tutti noi una grande lezione di civiltà. Merita un risarcimento simbolico. Siete d’accordo?       

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