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Saluti da Passo della Cisa

  • Gianni Spartà
  • 26/07/2021
  • 0

L’Italia del Covid vista da una sella

Tre motivi per arrampicarmi fin quassù, 32 gradi, le spalle curve su un manubrio da corsa, solo 1041 metri in quota per quaranta chilometri di salita, subito dura poi insidiosamente dolce. Il primo non interessa a nessuno: fare un tagliando, più psicologico che fisico, perché a un certo punto cominciano a scorrere i titoli di coda, come dice Ezio Motterle, bravo collega, strepitoso maestro di cinismo. Il secondo: vedere come riparte l’Italia che non s’intruppa a Mikonos e a Ibiza, magari senza vaccino, e se peste la coglie lamenta il rimpatrio condizionato da tampone e quarantena. Ha ragione Ilaria Capua: cure gratis a tutti, ma i renitenti alla dose paghino il danno sociale. Il terzo: un prurito letterario nel ricordo di uno scrittore che ho amato e conosciuto, Piero Chiara. Come in questi giorni afosi, esattamente 35 anni fa, adocchiai sulla sua scrivania a Varese le bozze corrette a mano dell’ultimo romanzo: Saluti notturni dal Passo della Cisa pubblicato postumo. Nulla a che fare con la fatica: l’autore si vantava d’aver praticato un solo sport, camminare appresso alle bare di amici atleti e ipercinetici. La trama era di genere poliziesco. Se n’è andato troppo giovane il maestro, 31 dicembre del 1986. Gli sono riconoscente per quella prefazione alla mia biografia del cementiere Felice Rusconi uscita due mesi prima del suo congedo. Dunque vi racconto il viaggio, senza sentirmi Indiana Jones.. Treno più bici fino a Parma con buone notizie: il bagaglio tabù è stato sdoganato anche sugli Intercity. In carrozza trovi scanalature per infilarci le ruote. La meta è Pisa, dove abita mio figlio Giacomo, anche lui ciclista, ma con l’impianto dei 39 anni.  Chilometri complessivi 170 e rotti. E’ un martedì e sono un intruso in queste valli che profumano di culatello, su questa salita dove Enzo Ferrari nel 1919 fece la prima corsa arrivando quarto dopo Ascari: c’è un busto che lo ricorda prima di Berceto. Sfrecciano Ducati e Suzuki, chi le cavalca nelle curve fa il pelo all’asfalto col ginocchio. Li ritrovo tutti in cima: mi hanno sgasato in faccia, amen. Il tempo di entrare nella storica locanda del Passo e sono già inquadrato per via della maglia: Sant’Ambrogio, Varese, storica società di pedalatori un tempo anche professionisti. “Tel chi, non mi riconosci? Sono il Peppo Franzetti di Malgesso, faccio la Francigena fino a Roma. Sentieri sterrati, strade bianche”.  Più che una bici, ha un pesante cancello di ottima qualità, ruote grosse raggio 29, due borsoni laterali che scendono lungo la ruota posteriore. “Ma sono uno della Varese in Europa, il tour di qualche tempo fa, ogni anno una capitale, Vienna, Praga, Parigi, Atene, partendo dai Giardini Estensi. Ricordi? Lo organizzava Vincenzo Bifulco, buon’anima. La Prealpina ci faceva le cronache perché della compagnia facevano parte due tipografi, De Rossi e Frasson”. Eccolo il miracolo: due ruote, anche due scarpe e sei subito in sintonia con chi considera il vagabondare a piedi o in bici un infallibile antitarme per tenere pulito il cervello. Triangolo Emilia-Toscana-Ligura: è il bello della Cisa questo incrocio di culture contadine e operaie. Marmi accecanti in lontananza, quelli di Carrara, paesini aggrappati sui costoni della valle principale, faggi e castagni. Da queste parti hanno corso tutti: la locomotiva di Guccini, il Mulino bianco dei Barilla, il fiuto di Mattei e anche i sangue dei vinti e dei vincitori. Non c’è paese che non abbia un monumento alla lotta partigiana. Caratteri duri, storiche punte d’anarchia. Su un muro che s’arrampica a Montereggio, il paese dei librai dove si sono inventati il Premio Bancarella e hanno intitolato a una piazza ad Angelo Rizzoli, anni fa notai questa scritta: preti e politici parassiti dell’umanità.  Lo ricordo a un gruppetto misto con zaino e racchette che mi ferma sotto la scalinata della Madonna della Guardia, santuario sul crinale, una visita obbligata. Sono ragazzi bresciani, per mesi hanno sentito la ghigliottina del Covid scendere inesorabile su migliaia di teste, alcune amiche. “Abbiamo voglia di respirare. Scendiamo a Pontremoli, Lunigiana, pernottiamo. Poi attraversiamo la Toscana, San Miniato, Fucecchio, Acquapendente, Montefiascone,  Bolsena, Sutri e siamo nel Lazio. Tra una settimana Roma”. Scendo anch’io verso Pontremoli, Aulla e Sarzana, anzi volo attraversando un altro confine: quello con la Liguria. Discesone compensativo. Addio vegetazione montana. Come i “cipressi che a Bolgheri” mi vengono incontro i pini marittimi della Versilia e tornano le suggestioni. Davanti alla Capannina, al Forte, pare di sentire la voce del cumenda bauscia che arringava il figlio imbelle nel film Sapore di mare. Attorno a Viareggio sembra che da un momento all’altro debba comparire il duetto fatale del Sorpasso con Gassman e Trintignant. La Torre pendente l’avvisto all’orizzonte dopo tra San Giuliano Terme e Migliarino. Potrebbe essere un miraggio vista la calura. Invece è proprio lei troneggiante nel prato di piazza dei Miracoli. Niente giapponesi che si scattano foto prospettiche con una mano alzata a raddrizzare il monumento. Il segno che la ripartenza è ancora in salita.    

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